Essere tristemente famoso, non è divertente

100 mila metri di pellicola per una durata di 197 minuti, Intolerance, secondo lungometraggio di David W. Griffith è un’opera complessa, faraonica, disastrosa, che finì per mettere in ginocchio la casa che lo produsse, la Triangle Film Corporation, decretando la fine della carriera del regista. Mai, infatti, gli riuscì di replicare il successo di Nascita di una nazione. Era il 1914, le sale erano stracolme, la fila per entrare occupava i marciapiedi. Sit in di protesta contro i contenuti razzisti del film affollavano le piazze e le strade. Lì, mentre si urlava allo scandalo, era appena nato il cinema.

La storia è strana, tende a ripetere se stessa come in una noiosa pantomima. Prevedibile, ma ogni volta inaspettata. È il 1980, la United Artists nata 66 anni prima dalle ceneri della Triangle, una minor, come si chiamavano le case di produzioni più piccole per distinguerle dai colossi come Warner, MGM, Paramount, concede a Michael Cimino 12 milioni di dollari per girare il suo western I cancelli del cielo, un cast di prim’ordine, alla fine il budget lievitò fino a raggiungere i 44 milioni di dollari.

Non era una novità in quel rinascimento che fu la New Hollywood alla fine degli anni 60 e per tutto il decennio successivo. C’era un fermento culturale, sociale, politico in America, un bisogno vitale, quasi compulsivo, di libertà e verità, che nell’arte si traduceva in necessità di dire, con le parole, la musica, le immagini. Allora si guardava all’Europa, considerata al di là dell’oceano culla di civiltà, fucina di talenti straordinari, lì dove erano scoppiate le rivoluzioni e si era fatta la storia, quella con la S maiuscola. Tra aule universitarie dove si studiava il Neorealismo e la Nouvelle Vague e i set televisivi si erano formati i movie brats che avrebbero messo a soqquadro lo Studio System: Scorsese, Allen, Lumet, Coppola e Cimino.

Si poteva fare e loro lo fecero.

Francis Ford Coppola ha letto Cuore di Tenebra di Conrad, ci vuole fare un film, John Milius che fa lo sceneggiatore ha già buttato giù una storia sulla guerra del Vietnam. Nasce così Apocalypse Now. Ma la sua realizzazione non fu affatto semplice e come per il film di Cimino il budget iniziale di 12 milioni lievitò a dismisura raggiungendo i 30 milioni di dollari, di cui 1 servì a pagare Marlon Brando.350 mila metri di pellicola che misero a dura prova Coppola – il divorzio, i debiti, il tentato suicidio – fecero impazzire gli attori – l’alcol e le droghe causarono a Martin Sheen un infarto – e spinsero la Zoetrope e la United Artists, che produssero e distribuirono la pellicola, verso la chiusura. Tuttavia, quella follia e delirio di onnipotenza si rivelò un successo planetario, incassando 150 milioni di dollari in tutto il mondo, 75 mila solo negli Stati Uniti, e ottenendo una Palma d’oro a Cannes e due premi Oscar.

Ma I cancelli del cielo di Michael Cimino, il mito della frontiera, l’immigrazione, la violenza, non incontra né il favore del pubblico né quello della critica. Incassa appena 3 milioni di dollari. È la fine di un’epoca, la fine della United Artists, la fine di Michael Cimino.

Eppure, appena due anni prima a Hollywood era considerato tra i migliori registi della sua generazione, l’enfant prodige che aveva firmato Il cacciatore, un piccolo, immenso capolavoro sulle ferite psichiche ed emotive ancor prima che fisiche lasciate dalla guerra in Vietnam. Robert De Niro, John Savage, Christopher Walken, Meryl Streep e un dolente John Cazale – che morirà stroncato da un cancro, senza vedere mai il film ultimato – a dare corpo e anima ad un film espressionista in cui la quotidianità della piccola provincia americana, del bar, della caccia al cervo, del matrimonio si contrappone all’isteria della guerra, alle mutilazioni emotive e della carne. La roulette russa e la caccia al cervo, momenti differenti eppure simili nel restituire l’oscenità del conflitto. Il film incassò 50 milioni di dollari a fronte dei 15 milioni spesi, vincendo 5 premi Oscar tra cui quelli per il miglior film e per la miglior regia.

Il suo nome finì nelle parole crociate del New York Times.

Ma Hollywood non perdona e dopo I cancelli del cielo Cimino venne esiliato per 5 interminabili anni dalle dorate colline californiane, dopo ci furono tentativi altrettanto catastrofici di emergere, l’ultimo nel 1996 con Verso il sole, venne accusato di tutto, l’abuso di droga, la chirurgia plastica per diventare una donna, una figlia segreta, la sociopatia. È morto solo, nel suo appartamento, aveva 77 anni, forse 64, perché, ad un certo punto, anche la sua età è diventata oggetto di inutile discussione. Era morto da giorni in quella casa in cui neanche i suoi amici più intimi sono mai entrati.

Ho sempre provato un grande affetto per Michael Cimino, mi capita con le cose del cinema, soprattutto quel cinema lì, che era fatto con grande coraggio e caparbietà e onestà. Di quelle storie che raccontano la realtà, tutte le sue brutture, come sotto una lente di ingrandimento e di quelle facce imperfette, che nell’imperfezione restituiscono noi stessi, sento la mancanza. Ogni tanto, quando le serie tv non mi assorbono totalmente, rivedo Il cacciatore, che è da sempre tra i miei film preferiti, rivedo Cazale e penso che ha avuto il privilegio di lavorare solo in film da Oscar e solo con i migliori, rivedo la Streep così bella ed eterea che vorrei abbracciarla, rivedo la scena del matrimonio e so che tutta quella felicità andrà a sbattere di lì a poco contro una pistola schiacciata sulla tempia. Rivedo Cimino in sala montaggio a rimettere insieme le scene censurate, puntare i piedi per avere Cazale pur sapendo che sta morendo.

Chissà se negli anni ha mai pensato anche solo una volta a quella battuta, quando Linda dice a Mike: “Avresti mai pensato che la vita sarebbe cambiata così tanto?” Chissà se e cosa ha risposto.